sabato 12 agosto 2006

La casa di riposo


Lang disse che le nonne gli mettevano una gran tristezza. Disse che a suo avviso le nonne erano sostanzialmente una cosa triste, specialmente quelle molto vecchie, che avevano ogni sorta di problemi tristi. Raccontò a Lenore della madre di suo padre, ricoverata in una casa di riposo in Texas, negli anni Sessanta. Disse che dopo la morte del nonno il padre e la madre avevano ospitato in casa la nonna per un po' di tempo, ma le cose non avevano funzionato, nemmeno con l'aiuto di un'infermiera che veniva durante il giorno per badare alla nonna, e che un giorno il padre di Lang e la nonna si erano seduti a tavola e il padre di Lang aveva detto alla nonna che l'avrebbe mandata in una casa di riposo.

“Ricordo che era veramente decrepita” disse Lang “E che non si muoveva bene, e che aveva delle perdite agli occhi, tipo che le colava una specie di roba lattiginosa. Non le andava a genio l'idea di finire in una casa di riposo. Ricordo che quando papà glielo disse lei fece sì con la testa e non aprì bocca. Ma si capiva che non le andava a genio.”

“E insomma andavamo a trovarla ogni sabato” proseguì Lang. “Era una specie di rituale. Papà voleva comportarsi da bravo figlio. La casa di riposo era lontana, era quasi a Fort Worth, sicché ci mettevamo in macchina e andavamo a trovare la nonna. Con mio padre c'ero quasi sempre io, e qualche volta c'erano anche mia madre e mio fratello. Ci mettevamo in macchina e partivamo, e arrivavamo a un grande cancello di ferro battuto e imboccavamo un sentiero di ghiaia pieno di curve, che finiva davanti alla casa di riposo. Anche piuttosto cara. Credo che la trattassero con tutti i riguardi.”

Lenore annuì, e Lang le toccò le labbra.

“Sicché imboccavamo il sentiero di ghiaia e salivamo verso la casa, che era in cima a una collina, e mi ricordo che già in lontananza riuscivo a vederla, la casa, ed era sempre una visione un po' tetra, perché la macchina di papà aveva i vetri affumicati, a sfumare verso il basso, e quando alzavo gli occhi vedevo la casa attraverso la parte più scura del vetro, e sembrava tutto cupo, come se stesse per piovere. Era sempre così, una visione tetra,” disse Lang. “E mentre ci avvicinavamo alla casa vedevamo lei, la nonna, perché era sempre lì, ad aspettarci, seduta nella sedia a rotelle. Sicché ogni volta che andavamo a trovarla lei era lì che ci aspettava, e la vedevamo da lontano ancora prima di arrivare. Anche noi eravamo contenti di vederla, anche se comunque, quello di andare a trovarla lo vivevamo come una specie di dovere, più o meno.

Ricordo che certi sabati io non volevo andarci. Non mi andava, perché avevo altro da fare. Ero piccolo, avevo tipo otto anni.” Lang tolse la mano dall'anca di Lenore e le carezzò il seno attraverso il reggiseno. “Comunque finivo per andarci lo stesso, sempre, e lei ci accoglieva tutta contenta e ci raccontava quello che faceva. Il che non prendeva molto tempo, visto che non faceva altro che fare presine all'uncinetto, per mia madre. Cioè, in effetti ne faceva tipo una al mese. Ricordo che muoveva le mani con una lentezza impressionante, come se avesse sempre un gran freddo.”

Lang si schiarì la voce. “Poi, dopo non so più quanti di questi sabati di visita alla nonna, capitò che un sabato non ci andammo. Papà aveva tipo un impegno urgente, non lo so. Fatto sta che non ci andammo. E ricordo che nemmeno l'indomani ci fu possibile andare. Però ci andammo il lunedì, per recuperare la mancata visita del sabato, e per farle una sorpresa. Quel lunedì i miei vennero a prendermi a scuola, e partimmo per andare a farle visita. Arrivammo al cancello, imboccammo il sentiero di ghiaia, e a un certo punto ricordo che la vedemmo, la nonna, da lontano, e la cosa ci stupì parecchio, cioè ci stupì vederla lì anche se non era sabato, sul porticato, coi suoi capelli bianchissimi, seduta nella sedia a rotelle, era sicuramente lei anche se la vedevamo nella penombra del vetro affumicato. E papà ricordo che disse «Ma che diavolo?», perché era lunedì, non era sabato. E fuori faceva freddo. Era novembre, o giù di lì, e le giornate erano parecchio fredde. E comunque lei era lì, seduta nella sedia a rotelle, con la coperta sulle gambe, che ci aspettava.

Sicché arriviamo e scendiamo dalla macchina e saliamo verso il porticato, e lei era contentissima di vederci, rideva e aveva quella specie di roba lattiginosa che colava dagli occhi, perché quando la nonna era molto contenta quella roba colava più del solito. Batteva le mani, con una lentezza impressionante e praticamente senza far rumore, e sorrideva e cercava di tirar fuori da sotto la coperta le presine, per mostrarle a mia madre, e ci toccava, e ricordo che papà le disse qualcosa tipo «Mamma, oggi è lunedì, non è sabato, sabato non siamo potuti venire e quindi siamo venuti oggi per metterci in pari, come mai ci stavi aspettando, non l'avevamo detto a nessuno che saremmo venuti» e via di seguito. E lei ricordo che poi sorrise, con grande tenerezza, e si strinse nelle spalle, e si guardò attorno e disse che tanto aspettava ogni giorno. E faceva sì con la testa. Ogni giorno, capisci. Lo disse così, come se dovessimo saperlo, come se fosse ovvio che la nostra visita se l'aspettava ogni stramaledetto giorno.”

Lenore guardò Lang.

“Forse non distingueva più il sabato dagli altri giorni” disse Lang. “O non sapeva che per noi il giorno di visita era il sabato. O forse lo sapeva, ma aspettava lo stesso, pensando che magari avrebbe avuto fortuna e noi avremmo deciso di fargli visita un giorno che non era previsto come giorno di visita. Fatto sta che scoprimmo che ci aspettava ogni giorno, anche quando faceva molto freddo. E adesso se ne stava lì a guardare mio padre come non capendo cosa ci fosse di tanto strano, ormai la sua vita era quella, non lo sapevamo? E noi nel frattempo ci sentivamo da cani. Ricordo che quel giorno mi sentii una merda. Una tristezza terribile.” Lang si strofinò un occhio. “Morì qualche tempo dopo, quando io ero ancora piccolo.”

Lenore guardò Lang strofinarsi l'occhio. Pensò alla nonna di Lang. Lang smise di strofinarsi l'occhio e la guardò. Lenore sentì nuovamente il bruciore alla gola. Si mise a piangere, un pochino.

“Ehi, non volevo metterti tristezza”, disse Lang. Sorrise, teneramente. “Questa è una tristezza mia, non è una tristezza tua.”

Cominciò a baciarle gli occhi, per prendervi le lacrime. Lo fece con una dolcezza tale che Lenore gli gettò le braccia al collo. Dopo un minuto Lang la strinse a sé, e con una mano provò a slacciarle il reggiseno. Lenore lo lasciò fare, e continuò a tenergli le mani sul collo. Lang le carezzò il seno mentre lei piangeva e lo stringeva a sé e pensava a un cielo del Texas, in novembre, visto attraverso un vetro affumicato. (...)

Tratto da “La scopa del sistema” di David Foster Wallace (pag. 447-449), ed. Fandango

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